CANI DEL GRANDE NORD
Si, d’accordo: ma non limitiamoci ai soliti stereotipi. Il Malamute sa essere un vero “tipo da spiaggia”, nonché un elegantissimo membro del jet set. Ma il ruolo che gli riesce meglio è sempre quello del perfetto … cane da coccole, perché il Malamute si sente soprattutto un compagno e un amico di quelli che ritiene “cani un po’ strani, a due zampe e senza coda”. L’Alaskan Malamute prende il suo nome dalla tribù Inuit Mahlemiut, che iniziò la sua selezione in tempi lontanissimi. In lingua Eschimese “miut” significa “popolo”, mentre della parola “mahle” non si conosce la traduzione. E’ probabile che si trattasse di un nome geografico e quindi Mahlemiut significherebbe “popolo di Mahle”.
Questa popolazione viveva nel territorio del Kotzebue Sound, compreso tra il fiume Kobuk e il fiume Noatak. A quel tempo l’Alaska era un possedimento russo e lo rimase fino al 1867, quando passò agli Stati Uniti. I Mahlemiut e gli altri popoli artici non si accorsero neppure del cambiamento politico: continuarono a fare la stessa vita di sempre perché le terre in cui vivevano erano troppo inospitali per interessare qualcuno che non ci fosse nato.
Nel 1896, però, sarebbe cambiato tutto: lungo il fiume Klondike veniva scoperto l’oro e trentamila uomini invadevano il Grande Nord, abbagliati dal miraggio della ricchezza. Poiché l’oro si poteva cercare solo nei brevi periodi in cui il ghiaccio non bloccava completamente strade e fiumi, per il resto del tempo i cercatori si annoiavano a morte. Oltre all’alcol, il maggior antidoto alla noia fu rappresentato da gare e scommesse, in cui i cani ebbero una parte importante. La storia del Siberian Husky ci narra che questi piccoli cani, scherniti con l’appellativo di “topi nordici”, batterono sonoramente i meticci in tutte le corse di velocità e resistenza.
I Malamute, invece, fecero vedere i sorci verdi a tutti nelle prove di traino pesante e in quelle di spostamento di grossi pesi. Questo tipo di gara si svolge ancora oggi in America e la nostra razza continua ad eccellere, stabilendo record su record.
Finita l’epoca della corsa all’oro, le gare di sled dog rimasero molto popolari. Così, nel 1923, una giovane insegnante del Massachussets lesse un giornale che ne parlava. Ella pensò che un gruppo di cani da slitta sarebbe stato un’eccezionale attrazione per il carnevale della sua città e decise di procurarsene uno. Eva Seeley, detta “Short” per la statura piccoletta, ancora non sapeva che si sarebbe perdutamente innamorata di quei cani e che insieme al marito Milton sarebbe diventata la più grande allevatrice americana di Siberian Husky ed Alaskan Malamute.
Eva conobbe tutti i più grandi campioni di sled dog dell’epoca. Fu grazie alla sua abilità di allevatrice (ma anche promotrice) che l’American Kennel Club riconobbe il Siberian Husky nel 1930 e l’Alaskan Malamute nel 1935. In quell’anno veniva registrato al libro origini il primo Malamute ufficiale della storia: Gripp of Yukon, che l’anno dopo sarebbe diventato il primo campione americano della razza. “Short” Seeley, fin dall’inizio della sua attività, ebbe più Siberian che Malamute; infatti questa razza stava già scomparendo insieme alla sua gente. La tribù di Mahlemiut viveva quasi esclusivamente di caccia e pesca; la sua principale fonte di sostentamento era il caribù, ma questo animale, inspiegabilmente, si era allontanato dal Kotzebue verso la metà dell’Ottocento. I Malamute di Eva Seeley ebbero onore e gloria, accompagnando la prima spedizione di Byrd in Antartide e venendo poi “arruolati” dall’esercito all’inizio della seconda guerra mondiale; ma fu una gloria pagata a caro prezzo, perché al termine della guerra la razza era praticamente decimata. La sua storia ricomincia solo nel 1947, con tre diverse linee di sangue:
- La prima, chiamata "KOTZEBUE", discendeva direttamente dai cani di Short Seeley.
- La seconda, chiamata "M’LOOT", proveniva dal territorio dello Yukon ed era stata importata da Paul Voelker.
- Alla terza linea, quella meno conosciuta, veniva dato il nome di "HINMANN-IRWIN", dai nomi di coloro che la divulgarono.
Ebbe una storia piuttosto breve, ma fece comunque sentire il suo influsso sullo sviluppo della razza.
Kotzebue e M’Loot erano piuttosto diversi tra loro: I Kotzebue puri avevano una bellissima testa, ma statura bassa e un unico colore, il grigio lupo. Gli M’Loot erano più alti ma avevano toraci più stretti, orecchie lunghe e musi affilati. Inoltre gli angoli posteriori erano meno accentuati, quindi l’andatura era meno sciolta di quella dei soggetti attuali. A differenza dei Kotzebue, gli M’Loot avevano una grande varietà di colori, compreso il rosso. Infine, il carattere degli M’Loot era più dolce, mentre i Kotzebue tendevano ad essere un po’ aggressivi. Per molto tempo le due linee vennero allevate in purezza: poi Robert Zoller, titolare dell’affisso Husky-Pak, decise di incrociarle tra loro ed ottenne risultati davvero strepitosi. Da allora le due linee si sono sempre più legate tra loro e quasi tutti i pedigree moderni le comprendono entrambe. I cani di tipo primitivo come il Malamute sono molto “lupi”, perché l’uomo è intervenuto solo parzialmente sulla selezione delle loro caratteristiche psichiche. Ha cancellato ogni traccia di aggressività, rendendoli docili ed amichevoli, ma non ha mai intaccato il loro istinto di animali sociali e fortemente gerarchici, proprio come l’antenato lupo.
Quando un Malamute copre alcune femmine, pensa di essere quello che tra i lupi viene definito “maschio alfa”: il più alto di grado e l’unico che può riprodursi. Per questo crede che tutti i cuccioli del suo branco siano suoi figli ed è “costretto” ad essere gentile con questi piccoli assatanati che tramandano il suo prezioso patrimonio genetico (… anche se ogni tanto una sonora ringhiata ci scappa; ogni pazienza ha un limite!)
Ma perché i piccoli sono tanto insistenti con l’adulto? Per capirlo dobbiamo fare un rapido viaggio lungo il loro sviluppo, partendo dalla fase neonatale.
I cuccioli appena nati sono completamente ciechi e sordi. L’unico senso che li guida è l’olfatto e l’unico odore che sono in grado di sentire è quello della mamma, che significa “pappa” e quindi “vita”. Dopo una settimana, in pratica, sono cambiate solo le dimensioni: gli unici imperativi restano “mangiare” e “dormire”. Dopo un altro paio di settimane, ecco che cambia tutto: ora i cuccioli sono veri cani (o quasi), in possesso di mille nuove facoltà. Vedono, sentono e camminano, ma di certo, a questa età, non potrebbero allontanarsi dalla mamma e dal branco. Per questo motivo Madre Natura ha inviato ai cuccioli un prezioso messaggio: “tutto ciò che puoi toccare, vedere e annusare in questo periodo della tua vita appartiene alla tua stessa specie”. Il cucciolo recepisce questo messaggio in quello che gli etologi chiamano “periodo dell’imprinting”, che va dalle tre alle sette settimane di vita. Quindi, per tutto questo periodo l’uomo deve “bluffare”, ovvero farsi toccare, vedere e annusare dai cuccioli, convincendoli che apparteniamo tutti alla stessa specie. Se ciò non avvenisse, una volta adulti i cani ci valuterebbero con le uniche due alternative che un lupo conosce: o predatori da temere e fuggire, o prede da attaccare e possibilmente mangiare. Certamente non diventerebbero mai i dolci compagni di vita e di lavoro che invece sono da sempre per l’uomo.
Ritorniamo al comportamento dei cuccioli con un maschio adulto: il tentativo di succhiare è semplicemente un errore (si deve fare esperienza anche in queste cose ….) mentre l’assalto al muso non è un gioco né un semplice segno di affetto. In realtà è un semplice invito a rigurgitare il cibo semidigerito, perché questo è il modo in cui vengono alimentati i cuccioli all’inizio dello svezzamento. Lo fanno i lupi e lo fanno anche molti cani nordici. Poiché si tratta di una dichiarazione di totale dipendenza, questo gesto ha assunto anche un significato di resa e di sottomissione tra adulti. Ecco perché il nostro cane, per festeggiarci, salta verso il nostro viso.
Un altro segno di sottomissione è quello di mostrare il ventre. Anche questo si ritrova nell’adulto, che lo esegue per dirci: “ti riconosco come mio superiore”. Come si può constatare, non è poi difficile capire il “canese”, specie quello delle razze più lupine, che abbaiano poco e si esprimono molto con il linguaggio corporeo. L’abbaio è una conseguenza dell'addomesticamento; in natura si sente raramente, perché gli animali selvatici cercano di far meno rumore possibile. Non è un'idea saggia quella di far sapere a eventuali predatori dove si trova il branco, mentre è lecito ululare se un membro resta isolato, per fargli capire come raggiungere gli altri. Vivere con un cane nordico significa vivere con un quasi lupo: dolcissimo e affidabilissimo, tanto che possiamo affidargli i nostri bambini senza il minimo timore, ma con la mente di un lupo dal punto di vista sociale e gerarchico.
Questo significa che per farci rispettare ed obbedire dal cane dovremo imparare la difficile arte del “capobranco”: un ruolo che non si ottiene MAI con la forza, ma con fermezza, coerenza e affidabilità. Non è una sfida facile, perché il Malamute è un cane molto esigente, ma chi riesce a conquistarne la stima avrà l’immensa soddisfazione di un compagno che gli obbedisce e che non si stacca mai dal suo fianco, tenendo sempre gli occhi su di lui in attesa di un suo comando o della sua approvazione. Questo si traduce in un cane che può seguirci ovunque senza guinzaglio, che si precipita da noi appena lo chiamiamo ….. e che riesce a trattenere i suoi istinti di predatore, limitandosi a “guardare" ciò che non gli è permesso di "toccare".
Con chi non riesce ad essere un buon capobranco, al contrario, il cane nordico resterà dolcissimo e amabile, ma non riconoscerà l’autorità del padrone e farà tutto quello che gli pare.
Ha davvero senso un Alaskan Malamute al mare, o comunque lontano dai grandi ghiacci in cui è nato?
E’ venuto il momento di affrontare questo problema seriamente. Cominciamo col dire che la pelliccia del Malamute non gli causa alcun fastidio se il termometro sale: essa non tiene semplicemente “caldo”, ma ha una funzione termoisolante che quindi protegge il cane sia dal freddo che dal caldo. Il Malamute non soffre il caldo più di un pastore tedesco e corre sicuramente meno rischi di un boxer o di un bulldog, nonostante questi abbiano il pelo raso. Una volta che la cute è protetta, lo spessore della pelliccia influisce relativamente sul benessere del cane; quella che conta davvero è la capacità di raffreddare l’aria inspirata tramite la canna nasale, lunga, larga e spaziosa. Per questo motivo il Malamute è perfettamente attrezzato per vivere a qualsiasi latitudine. Bisogna ricordare che i cani nordici possono “sopravvivere” alle temperature polari grazie alle difese donate loro dalla natura, ma ciò non significa che le preferiscano e neppure che le “gradiscano”! Un cane che deve combattere per tutta la vita contro la morsa del ghiaccio non starà certo meglio di un cane che vive a temperature più miti; anzi, quest’ultimo avrà una vita più lunga e sana, perché impiegherà in modo diverso le energie che il suo collega artico disperde al solo scopo di proteggersi dal freddo. La vita media di un Malamute eschimese era di sei-sette anni; quella di un moderno cane cittadino è di dieci-quindici anni e questo la dice lunga sulla presunta “necessità” di vivere sotto zero.
Vita più lunga, però, non significa necessariamente “buona qualità” della vita stessa; a questo dovremo pensare noi, ricordando che il Malamute è un cane da lavoro intelligente e dinamico. Se ne abbiamo la possibilità, insegniamo al nostro cane a tirare; gli piace moltissimo, è nato per questo e lo fa con gioia. Ma se viviamo lontano dalla neve, ricordiamo che la slitta non è indispensabile: ci si può divertire altrettanto con un carrello o con una semplice mountain-bike! Se poi non abbiamo un animo particolarmente sportivo, non preoccupiamoci: ci sono mille modi per far correre il nostro Malamute e fargli sfogare le sue energie, da solo o in compagnia. A lui piace moltissimo la compagnia umana, specie quella di chi, come lui, ha voglia di giocare; ma essendo un animale sociale, gli piace anche stare con i membri della sua specie.
Se possediamo un maschio, come per tutti i maschi del mondo è meglio scegliergli amici di sesso opposto; ma il Malamute tendenzialmente non cerca la rissa, anzi, ama tanto gli esseri umani che talora non bada neppure all’altro cane, preferendo scambiare effusioni con il padrone. D’altro canto, se viene provocato, un cane nordico non si tirerà indietro; meglio non correre rischi inutili. Un po’ cane e un po’ lupo, primitivo e astutissimo, giocherellone e tenerissimo, il Malamute non è un cane per tutti; ci sarà sempre chi ci chiede “a cosa serva” un cane così, se non lo attacchiamo ad una slitta. I poveretti non sanno cosa significa avere accanto un pezzetto di natura incontaminata; non sanno cosa significa guardare negli occhi il proprio cane e sentirsi volare tra infinite distese di ghiaccio, di solitudine, di pace.
Inutile spiegare: chi non sa non potrà mai capire. Ma chi ama il Malamute…”sa”, punto e basta. Sente anche dentro di sé lo spirito del lupo e sa che scegliendo questa razza non si limiterà a “possedere un cane“. Avrà accanto un fratello.
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